Buoni spesa: un diritto fondamentale che non ammette discriminazioni di sorta

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adirmigranti
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Buoni spesa: un diritto fondamentale che non ammette discriminazioni di sorta

Messaggio da adirmigranti » gio apr 23, 2020 5:41 pm

Buoni spesa: un diritto fondamentale che non ammette discriminazioni di sorta

I sussidi sociali che rispondono a bisogni essenziali sono un diritto fondamentale di ogni essere umano e non possono essere vincolati a requisiti di cittadinanza o residenza. Molti comuni hanno pubblicato bandi che subordinano i buoni spesa per far fronte allo stato di bisogno provocato o aggravato dalla pandemia alla cittadinanza o, quantomeno, alla titolarità di un permesso di soggiorno di lungo periodo e alla residenza. Questi bandi hanno finalmente fatto emergere in tutta la sua rilevanza il problema della subordinazione dei servizi sociali essenziali per la sopravvivenza a requisiti diversi dallo stato di necessità che sono chiamati ad alleviare.

I bandi dei comuni hanno suscitato subito la reazione di molte associazioni che operano a tutela e sostegno dei diritti dei migranti. L'ASGI e molte associazioni locali hanno contestato il requisito della cittadinanza e del permesso di soggiorno di lungo periodo. Anche la nostra associazione si è mossa lungo questa linea (diffide ai comuni di Ferrara, L'Aquila e Ventimiglia), ma allo stesso tempo ha cominciato a riflettere sul fatto che questi provvedimenti consentivano di porre in modo chiaro anche l'annoso problema della subordinazione delle prestazioni sociali essenziali al requisito della residenza.

La prestazione prevista dall'ordinanza del capo della protezione civile (il buono spesa) non è una prestazione rientrante nei servizi sociali comunali ai sensi della legge 328/2000, e quindi erogata a favore dei residenti, ma un sussidio nazionale il cui criterio di attribuzione è lo stato di necessità. Viene ordinato ai comuni di regolamentare l'erogazione del sostegno economico in modo che sul territorio nazionale nessun soggetto in stato di necessità ne sia escluso. Si legge, all'art. 2 comma 5 dell'ordinanza, che viene affidata ai comuni "l'individuazione dei fabbisogni alimentari e nella distribuzione dei beni". Ai comuni non è quindi attribuito il potere di determinare la platea dei beneficiari in base ad un criterio diverso dal "fabbisogno" provocato dal Covid-19. L'esclusività di questo criterio di attribuzione è confermata dall'art. 2, co. 6: "L'Ufficio dei servizi sociali di ciascun Comune individua la platea dei beneficiari ed il relativo contributo tra i nuclei familiari più esposti agli effetti economici derivanti dall'emergenza epidemiologica da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno, per soddisfare le necessità più urgenti ed essenziali con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico". L'unico criterio ammesso è l'essere in stato di bisogno causato e/o aggravato da Covid-19.

Il direttore dell'UNAR in una lettera inviata in data 6 aprile 2020 al Presidente ANCI ha subito colto il punto, sottolineando l'importanza di utilizzare le risorse previste per i beneficiari più a rischio con particolare riferimento ai soggetti senza fissa dimora, alle minoranze etniche e a tutti coloro che, pur vivendo in situazioni di estremo disagio economico e abitativo, non siano in possesso di residenza anagrafica o di cittadinanza italiana. La lettera invita ANCI asvolgere una "preziosa azione di indirizzo e monitoraggio degli interventi posti in essere dai Comuni, anche in chiave non discriminatoria e inclusiva, per fare in modo che in questo delicato momento per la nazione non si riduca l'attenzione verso i fabbisogni di quelle fasce vulnerabili della popolazione più difficilmente raggiungibili dagli interventi di sostegno sociale".

A dispetto del fatto che la rubrica del primo articolo dell'ordinanza parli di "misure di solidarietà alimentare", molti comuni hanno mostrato un atteggiamento poco solidaristico escludendo i non residenti e, tra i residenti, gli stranieri non lungo-soggiornanti. Il TAR dell'Aquila ha fatto subito un decreto cautelare con cui, argomentando in base alle linee guida dell'UNAR, ha sospeso il requisito della residenza prevista dal bando di quel comune.

Molto importante è il provvedimento preso inaudita altera parte dal Tribunale di Roma, che riconosce il diritto ai buoni spesa di uno straniero irregolarmente soggiornante, chiarendo così in modo inequivocabile che l'unico criterio per la concessione del beneficio è lo stato di bisogno. Quest'ultimo provvedimento, redatto dalla dottoressa Albano, muove dalla costatazione che "nel caso di specie non si discute dell'accesso a prestazioni assistenziali 'ordinarie', ma ad una misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall'emergenza sanitaria in atto". Il ragionamento su cui si basa è molto importante perché argomentato sviluppando il combinato disposto, o, forse meglio, la lettura circolare, degli art. 2 e 3 della Costituzione. Si ricorda, infatti, che la Corte costituzionale ha, da ormai mezzo secolo, chiarito che le i termini utilizzati dall'art. 3 ("cittadini", "tutti" o "lavoratori") per definire l'ambito operativo del principio di eguaglianza formale e sostanziale devono essere letti alla luce dell'art. 2 della Costituzione secondo cui "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".

Il principio su cui si basa la decisione è, dunque, che "in tema di diritti fondamentali non sono [...] ammissibili discriminazioni (v. Corte cost., sent. n. 120 del 1967, Corte cost., sent. n. 104 del 1969)". Muovendo da questo principio, la Corte ha in più occasioni affermato che i diritti inviolabili spettano "ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani" (sentenza n. 105 del 2001). Quindi "la mera presenza sul territorio dello Stato" conferisce "il riconoscimento di un novero di prestazioni strettamente connesse alla tutela della vita umana". Per quanto riguarda gli stranieri questo principio è stato recepito dal legislatore che all'art 2 comma 1 del D.lvo n. 286/98 (TUI) ha stabilito che allo straniero comunque presente sul territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Appare ovvio pure che queste prestazioni spettino anche ai cittadini italiani a prescindere dal requisito della residenza. Si ricorda, infatti, che nella sentenza 40/2010 la Corte ha affermato che le provvidenze dovute in forza di diritti inalienabili della persona, per la loro stessa natura, "non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale". Nel caso che ha dato luogo alla pronuncia, la Corte dichiarò illegittimo subordinare la concessione della beneficio sociale a condizioni di ammissibilità incoerenti con le situazioni di bisogno e di disagio che costituivano il presupposto della sua concessione.

In riferimento al criterio della "essenzialità" della prestazione agli effetti della tutela dei valori coinvolti, il Tribunale di Roma, ricorda la sentenza 187/2010 che statuisce che non è ammissibile alcuna differenziazione tra cittadini e stranieri quando la prestazione rappresenti "un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei bisogni primari inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto".

Quest'ultima pronuncia della Corte è particolarmente importante nell'ambito di una discussione sulla subordinazione delle prestazione essenziali a criteri selettivi quali cittadinanza e residenza. In essa la Corte ha tracciato con chiarezza il limite che anche il legislatore incontra quando interviene restrittivamente sui criteri di accesso sulle prestazioni essenziali, quali sicuramente sono i buoni spesa. I limiti di accesso devono essere logici alla luce della "essenzialità agli effetti della tutela dei valori coinvolti": "occorre [...] accertare se, alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale che è chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico 'assegno' che viene qui in discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei 'bisogni primari' inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto".

La giurisprudenza successiva della Corte ha consolidato questo principio. L'organo di legittimità costituzionale ha in particolare ripetuto che "ove si tratti [...] di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare [...] - qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU, avuto riguardo alla interpretazione rigorosa che di tale norma è stata offerta dalla giurisprudenza della Corte europea" (Corte Cost. 329/2011 e 40/2013). Qualora provvidenze di carattere assistenziale venissero fatte dipendere da "requisiti incompatibili con l'indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni" - come avverrebbe senz'altro nel caso in cui il beneficio alimentare fosse fatto dipendere dal requisito della residenza - gli stessi "ineluttabilmente finirebbero per innestare nel tessuto normativo condizioni incoerenti e incompatibili con la natura stessa delle provvidenze, generando effetti irragionevolmente pregiudizievoli rispetto al valore fondamentale di ciascuna persona" (Corte Cost. sent. 22/2015). Tale principio è stato riaffermato nella recentissima sentenza n. 44/2020 che ha definito "irragionevole", e quindi illegittimo, il requisito della residenza prolungata quando esso è estraneo alla logica del beneficio che gli viene subordinato: se un beneficio sociale persegue direttamente alla finalità di uguaglianza sostanziale fissata dall'art. 3, secondo comma Cost., esso può essere condizionato solo alla situazione di disagio che si intende supportare.

Di particolare rilievo è il richiamo all'art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo. La pronuncia 187/2010 ha infatti origine da una recezione a un tempo restrittiva e ampliativa della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in relazione all'art. 14 della Convenzione, che fissa il principio di non discriminazione, combinato con l'art. 1 del Protocollo 1. Il recepimento è restrittivo perché la Corte, richiamando l'art. 38 comma 1 cost., limita la parità alle sole prestazioni essenziali, mentre la Corte EDU afferma che la parità deve valere, tra tutti i cittadini e tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, per tutte prestazioni sociali. La Corte costituzionale allarga invece l'ambito dei beneficiari definito dalla Corte EDU in quanto, attraverso la lettura circolare degli art. 2 e 3, include nella platea dei beneficiari delle prestazioni essenziali anche gli stranieri non regolarmente soggiornanti, come riconosce il provvedimento del Tribunale di Roma.

Per chiarire l'importanza della Giurisprudenza della Corte EDU in questa materia merita ricordare che essa ha sanzionato le discriminazioni relative a prestazioni che si presentano compensative di una situazione di marginalità e svantaggio (si vedano: CEDU, Oršuš and Others v. Croatia [GC] No. 15766/03, 16 Marzo 2010, ECtHR, Ponomaryovi v. Bulgaria, No. 5335/05, 21 Giugno 2011, Horváth and Kiss v. Hungary, No. 11146/11, 29 Gennaio 2013); il rifiuto di concedere al richiedente - disoccupato da lungo tempo che aveva perso il diritto di indennità di disoccupazione - un anticipo sulla pensione sotto forma di "indennità di emergenza" per il fatto che non era di nazionalità austriaca (causa Gaygusuz contro Austria no. 17371/90, 16 settembre 1996); il rifiuto di un assegno per disabili a cittadino straniero (caso di Koua Poirrez c. Francia no. 40892/98, 30 settembre 2003); e infine, ha condannato, l'Italia, nel caso Dhahbi v. Italy (No. 17120/09, 8 Aprile 2014), per aver negato l'accesso agli assegni familiari a una persona di nazionalità tunisina.

Questa giurisprudenza della Corte EDU si è elevata a modello per le Corti domestiche non solo in Italia. In Francia nel caso di Bozkurt contro CPAM de Saint-Etienne (Cour de cassation, chambre sociale, 14 janvier 1999 (pourvoi n. 97-12.487)) la Corte di Cassazione ha stabilito che il rifiuto di concedere un'indennità supplementare del Fondo nazionale di solidarietà basato su motivi di nazionalità (il richiedente era di nazionalità turca) viola l'articolo 14 della Convenzione e l'Articolo 1 del protocollo n. 1. Basando il suo giudizio sul diritto alla non discriminazione in combinazione con il diritto al godimento dei beni, la Divisione Sociale della Corte di Cassazione ha attinto direttamente alle conclusioni della CEDU in Gaygusuz contro Austria.
fonte: http://www.altrodiritto.unifi.it/adirmi ... damentale/

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